Cesare Ballardini, ‘Dal vero’, 2011

Cesare Ballardini, ‘Valle Santa’, 1986

Cesare Ballardini, ‘Valle Santa’, 1986

The photography of Cesare Ballardini stands somewhere on a line connecting the photography of Guido Guidi – who portrays anonymous places in a pared down, anti-heroic, melancholic, decentred way, using black and white alongside de-saturated colour – to that of Luigi Ghirri, which by comparison appears maximalistic: axial, symmetrical, pictorial, rich in its colour, and as tied to photography as it is to painting (from Piero della Francesca and Angelico, to de Chirico, Morandi and Magritte). Maybe Ballardini’s work hovers closer to the former than the latter. His artistic history, however, can be placed under the aegis of both practitioners. Born in Fusignano, in the province of Ravenna, in 1954, he studied photography with Italo Zannier, who had also taught Guidi in the 1960s, but his work was first shown in Iconicittà: a vision on the real, an exhibition curated by Ghirri in Ferrara, in 1979.

The black and white photographs presented in the book Dal vero (From life) – published in 2011 by Edizioni del Bradipo and edited by Luca Nostri, as part of the project Lugo Land http://www.lugoland.it/?p=projects&v=dalvero – were chosen in 2009-10 by Ballardini among those he had taken between 1985 and ’89 while he was becoming involved in a cultural association, I Figli del Deserto (The Children of the Desert), founded in Lugo, Romagna, in 1986, of which he was among the first members. The first endeavour of the association was Traversate del deserto (Desert crossings), an exhibition and publication involving – among others – authors Giorgio Agamben, Jean Baudrillard, Gianni Celati, Max Frisch, Gabriel Josipovici, Gilles Lipovetsky, Giuliano Scabia, and photographers Olivo Barbieri, Vittore Fossati, Luigi Ghirri, Guido Guidi.

The book Dal vero contains 22 photographs that Ballardini took in various locations, only a few kilometres apart from each other, in towns and villages such as Lugo, Fusignano, Bagnacavallo, Faenza, Alfonsine. Even in their names these places appear modest, simple, everyday. And the places devoid of human presence in the photographs are just as anonymous: simple cubic houses, a grassy embankment, a well-worn road sign, building materials depots, ploughed fields, reed beds, gas stations, small factories, old cars, deserted suburban roads; during the day, at dusk, at night…

Writing about the meaning the word ‘desert’ had for I Figli del Deserto, Celati noted that in the contemporary epoch, “the desert becomes more and more a path to be taken again, a way to be found again, a silence to traverse, in order to be able to still talk with others”. And he added, “the desert is this path: it is the way of silence, the celebration of the small oasis, the discovery of some mythical, gleaming, dazzling, touching trace, the presence of a flower, an animal, a stone, in the indifferent planetary desert – what in any case is called Nature”.

The atmosphere in Ballardini’s photographs is suspended and melancholy, but at the same time he strives not to be too evocative and lyrical. This comes fairly close to the work Guido Guidi was making in the same period, or the images Stephen Shore would take only a few years later, in 1993, at Luzzara, where Zavattini and Paul Strand had made Un paese.

Cesare Ballardini, ‘Lugo’, 1986

Cesare Ballardini, ‘Lugo’, 1986

La fotografia di Cesare Ballardini si trova da qualche parte su una linea che collega la fotografia di Guido Guidi – che ritrae luoghi anonimi in modo smorzato, anti-eroico, malinconico, decentrato, utilizzando il bianco e nero a fianco di un colore desaturato – a quella di Luigi Ghirri, che appare al confronto massimalista: assiale, simmetrica, pittorica, cromaticamente ricca, e legata tanto a fonti fotografiche quanto alla pittura (da Piero della Francesca e Angelico, a de Chirico, Morandi e Magritte). Forse il lavoro di Ballardini è più vicino al primo che al secondo; la sua storia artistica, tuttavia, può essere posto sotto l’egida di entrambi. Nato a Fusignano, in provincia di Ravenna, nel 1954, ha studiato fotografia con Italo Zannier, con cui anche Guidi aveva studiato negli anni Sessanta; ma il suo lavoro fu esposto per la prima volta in Iconicittà: una visione sul reale, mostra curata da Ghirri a Ferrara nel 1979.

Le fotografie in bianco e nero presentate nel libro Dal vero – pubblicato nel 2011 dalle Edizioni del Bradipo e curato da Luca Nostri nell’ambito del progetto Lugo Land http://www.lugoland.it/?p=projects&v=dalvero – sono state scelte nel 2009-10 da Ballardini tra quelle che aveva realizzato tra il 1985 e il 1989, quando iniziava la sua partecipazione all’associazione culturale I Figli del Deserto, fondata a Lugo nel 1986, di cui fu tra i primi membri. Il primo progetto dell’associazione fu Traversate del deserto, una mostra e una pubblicazione che coinvolsero, tra gli altri, autori come Giorgio Agamben, Jean Baudrillard, Gianni Celati, Max Frisch, Gabriel Josipovici, Gilles Lipovetsky, Giuliano Scabia, e fotografi come Olivo Barbieri, Vittore Fossati, Luigi Ghirri, Guido Guidi.

Dal vero contiene 22 fotografie che Ballardini ha scattato in località a pochi chilometri di distanza l’una dall’altra, cittadine e paesi come Lugo, Fusignano, Bagnacavallo, Faenza, Alfonsine. Fin dai nomi, questi luoghi appaiono modesti, semplici, quotidiani. E gli spazi privi di presenze umane delle fotografie sono altrettanto anonimi: semplici case cubiche, un terrapieno erboso, un cartello stradale consunto, depositi di materiali edili, campi arati, canneti, stazioni di servizio, piccole fabbriche, vecchie auto, deserte strade extraurbane; durante il giorno, al tramonto, di notte…

Scrivendo sul significato che la parola ‘deserto’ aveva per I Figli del Deserto, Gianni Celati osservava che nell’epoca contemporanea “il deserto diventa sempre più il cammino da riprendere, la via da ritrovare, il silenzio da attraversare per poter ancora parlare con gli altri”. E aggiungeva, “il deserto è questo cammino: è la via del silenzio, la celebrazione della piccola oasi, la scoperta di qualche traccia mitica baluginante, o accecante, o commovente, la presenza d’un fiore, d’un animale, d’un sasso, nell’indifferente deserto planetario – ciò che comunque si chiama Natura”.

L’atmosfera delle fotografie di Ballardini è sospesa e malinconica, ma allo stesso tempo cerca di non essere troppo evocativa e lirica. In ciò si avvicina al lavoro che Guido Guidi stava facendo nello stesso periodo, o alle immagini che Stephen Shore avrebbe preso solo pochi anni dopo, nel 1993, a Luzzara, là dove Zavattini e Paul Strand avevano creato Un paese.

Jacopo Benci

Cesare Ballardini, ‘Villa Pianta’, 1986

Cesare Ballardini, ‘Villa Pianta’, 1986

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