Testo di Sara Bonfili
Riguardo il sodalizio che può instaurarsi tra fotografi e scrittori, i marchigiani Paolo Merlini e Maurizio Silvestri possono essere citati come esempi di viaggiatori-osservatori che fanno del reportage giornalistico una buona scusa per far letteratura, e del viaggio lento un modo per scoprire paradisi italiani dimenticati o sottovalutati. Perché tra i ricordi di viaggio de Un altro viaggio nelle Marche (Roma: Exorma, 2012) e Dove comincia l’Abruzzo (Roma: Exorma, 2014) c’è spazio per le digressioni musicali e poetiche, per la parola del critico letterario Massimo Raffaeli, per le storie raccolte per strada, per gli insegnamenti del fotogiornalista Mario Dondero e per le immagini che altri fotografi o gli stessi autori hanno inserito a corredo della narrazione.
Per scrivere un libro serve il braccio destro del fotografo?
Paolo Merlini – Avere un fotografo vicino significa avere un complice sempre a portata di mano. Il fotografo capta attimi spesso indescrivibili e li eterna in un fotogramma. La fotografia, come il racconto, è sempre un ‘esserci stato’ a differenza del film che è un ‘esserci’ ripetibile… Non so se mi spiego.
Maurizio Silvestri – Per la mia esperienza, quando scatti non puoi scrivere, quando scrivi non puoi scattare. Sono due gesti che implicano un coinvolgimento totale della testa e del cuore, richiedono dedizione e concentrazione verso il soggetto, paesaggio o persona che sia, per cercare di coglierne l’essenza. Il lavoro di un fotografo con una sensibilità analoga è il complemento ideale per il lavoro di ogni scrittore di reportage. Sono due percorsi che si integrano e che si completano a vicenda. L’esempio delle foto di Dondero ma anche di Cicconi Massi nel nostro primo libro Un altro viaggio nelle Marche è lampante. Sono foto scattate in tempi e luoghi diversi delle Marche, tuttavia sembra che il testo sia stato scritto apposta per quelle foto e viceversa. Un altro esempio del genere sono le foto di Philippe Séclier che accompagnano il libro di Pasolini La lunga strada di sabbia (Roma: Contrasto, 2005).
Quanto l’insegnamento dei vostri fotografi di riferimento influenza il vostro reportage di viaggio?
PM – I fotografi che ci accompagnano sono degli anarchici educati e gentili col prossimo. Viaggiando con loro ho imparato che, in un certo qual modo, noi che raccontiamo un viaggio, dipendiamo dalle persone che incontriamo sulla strada. Scrivere di viaggio è un po’ come fotografare in analogico: solo a posteriori, quando sviluppi la pellicola vedi se la foto e il racconto che porta con sé è venuta bene, come quando rileggi gli appunti dal taccuino.
MS – Forse mi hanno insegnato più l’esperienza e la vita di fotografi come Robert Capa ma soprattutto l’esperienza impagabile di aver viaggiato con Mario Dondero, una vera leggenda vivente, un maestro assoluto del reportage umanistico. Il suo approccio situazionista ai luoghi e alle persone, la sua etica, la sua caparbietà nella ricerca della rappresentazione della verità, fedele alla regola della scuola ungherese (“la migliore propaganda è la verità”) è il mio insegnamento e modello ideale nella scrittura di reportage di viaggio.
I ritratti fotografici come l’ascolto delle esperienze, della parlata e l’osservazione dell’impronta locale: una riflessione.
MS – I bravi fotografi riescono a caratterizzare i personaggi cogliendo la sostanza, ottenendo un risultato migliore dello scrittore che cerca di restituire a penna, non avendo un supporto sonoro, la potenza della parlata dialettale. Comunque in entrambi i casi ciò che più conta è instaurare un rapporto di empatia con il soggetto che si aprirà al reporter, e la caratterizzazione avverrà di conseguenza, come insegna un grande maestro come Ryszard Kapuściński.
Quale può essere oggi l’insegnamento di Luigi Ghirri?
MS – Al tempo della stesura di Un altro viaggio nelle Marche ho cercato molto il suo Viaggio in Italia, anche se purtroppo non sono riuscito a vedere quel libro. Tuttavia sento molto vicino l’approccio alternativo e innovativo di quel viaggio. Di fatto è lo stesso che abbiamo cercato di replicare io e Paolo nel nostro reportage.
Progetti in cantiere o appena realizzati?
PM –Ti lascio con una citazione a tema e molto eloquente: “Gli uomini fanno progetti e gli Dei sorridono” (Meir Shalev). Comunque consulto sempre gli orari dei treni e dei traghetti.
MS – I viaggi non finiscono mai. Prendendo in prestito la celebre frase di Josef Koudelka, “Viaggio per non diventare cieco”, il viaggio è una dimensione necessaria. Saremo per po’ in giro con Dove comincia l’Abruzzo e ogni viaggio, lento e sghembo ovviamente, è per noi occasione di arricchimento e un potenziale nuovo reportage. Uno dei progetti desiderati è ripercorrere su corriere locali il viaggio da Ventimiglia a Trieste che Pasolini fece in 1100 nera nel ‘59. Sarebbe un bellissimo viaggio da fare e da raccontare. Magari con la collaborazione di più fotografi.
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